Si preannuncia un autunno molto caldo per i lavoratori Volkswagen dopo che il colosso automobilistico tedesco ha dichiarato a inizio settembre che potrebbe chiudere alcuni siti di produzione in Germania, una misura che in precedenza era considerata fuori discussione, minacciando ulteriori tagli ai posti di lavoro nell’ottica di risparmiare sui costi. Le ultimi notizie che arrivano dalla Germania ipotizzano il taglio fino a 30 mila posti di lavoro.
Lo scrive Manager Magazin secondo cui il delegato alle finanze del gruppo, Arno Antlitz, vorrebbe ridurre il piano investimenti per i prossimi cinque anni a 160 miliardi, rispetto ai 170 finora previsti. Al momento VW conta 130 mila dipendenti, il magazine scrive che il ceo Oliver Blume riterrebbe il taglio dei 30mila posti possibile nel lungo periodo.
Il sindacato tedesco dei metalmeccanici aveva annunciato di aver ricevuto dal costruttore di Wolfsburg la lettera di disdetta di diversi contratti collettivi, tra cui l’accordo che prevede la salvaguardia dei posti di lavoro e delle fabbriche tedesche fino al 2029. La rescissione dei contratti collettivi consente a Volkswagen di fare le manovre che crede come tagliare i lavoratori e chiudere le fabbriche.
E come avevo scritto, si prospettano tuttavia, licenziamenti di massa in Germania per 10 miliardi di euro. L’annuncio di questi giorni da parte dei dirigenti della casa automobilistica tedesca ha dato un chiaro segnale sulle prossime politiche industriali di Volkswagen. Audi è nella stessa situazione.
Nel frattempo, il gruppo investe in Cina per sostenere lo sviluppo di auto elettriche, vista la scadenza imposta al 2035 per lo stop alla vendita di auto a combustione termica. Una scelta che colpirà anche posti di lavoro italiani, dato che molta componentistica meccanica prodotta nel nostro paese viene esportata proprio in Germania.
Tutto ciò avviene mentre i dati sul crollo delle vendite dell’elettrico ci mostrano un’evidenza: senza incentivi, e occorre ricordare che sono pagati da tutti noi, le cosiddette auto green non decollano. Nel mese di agosto, tra tutte le auto vendute, solo il 3% è a trazione elettrica. Siamo davvero all’assurdo.
Tirando le somme, pur di rincorrere gli obiettivi fissati al 2035, saremo costretti a comprare auto made in Cina, prodotte in stabilimenti dell’estremo oriente nati dai licenziamenti e dalle chiusure delle fabbriche europee. E come se non bastasse, ricorrendo a incentivi per calmierare dei prezzi ancora più elevati a causa dei dazi annunciati proprio da Bruxelles sulle importazioni di auto cinesi.
Bene hanno fatto quelle case che sull’elettrico non ci hanno mai puntato (vedasi Toyota) o non ci hanno mai creduto (come diceva giustamente a suo tempo Marchionne). Oramai il danno è fatto oppure siamo ancora in tempo a fare (TUTTI) un passo indietro?